Il lavoro e gli anziani

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Fin dagli anni ‘90, per complesse ragioni sociali ed economiche, è stato necessario alzare l’età in cui andare in pensione. Ancor più importante, dal nostro punto di vista, è il fatto che molte persone desiderano lavorare più a lungo.Appare chiaro come all’interno delle organizzazioni lavorative siano necessari interventi che tengano conto dell’invecchiamento del personale. Eppure sono pochissime le aziende che mettono in pratica una ben strutturata politica del personale che tenga conto dell’età.

L’interesse dei vertici aziendali è ancora prevalentemente focalizzato sulla fase di selezione e formazione  con rari periodi di aggiornamento. L’idea prevalente è che un dipendente dopo i 40  ha già trovato il suo “posto” in azienda, spesso la sua posizione è considerata quella definitiva o, al più, con funzioni decisionali che si accrescono nella medesima area. Infine, il lavoratore stesso finisce per entrare nel circolo vizioso del “disinvestimento”, cioè si rende conto che l’azienda non investe più in lui e si adegua a sua volta non investendo più molto nel proprio lavoro. Con l’avanzare degli anni il lavoratore, sentendo che il contesto non nutre aspettative nei suoi confronti, finisce per agire secondo tale percezione rafforzando così l’idea negativa. Questo è un circolo vizioso  che continua ad alimentare tutti i  pregiudizi sulle persone anziane che lavorano.

Bisogna considerare, inoltre, che nemmeno i sindacati si impegnano nella lotta a tali pregiudizi: forse per la mancanza di una cultura in merito, in sede di negoziazione dei contratti al massimo si parla di rendere il lavoro più leggero alla persona in avanti con l’età. Manca ancora una strategia che crei le condizioni favorevoli affinché una persona possa lavorare fino e oltre i sessantacinque anni partecipando con piacere e sentendosi considerato un valore aggiunto.

Per prima cosa, dunque, bisogna contrastare i pregiudizi sull’anziano che lavora. In tal sento può essere d’aiuto la ricerca psicologica. Proverò a riportare i risultati di alcune ricerche in merito:

  • Le abilità ad apprendere ed eseguire compiti non sono direttamente legate all’età quanto alla storia personale dell’individuo. Vi possono essere persone anziane con abilità pari a quelli dei giovani.
  • Lo sviluppo di una persona riguarda l’intero ciclo di vita: facoltà e funzioni si apprendono e si perdono in ogni fase e a ogni età. Il loro permanere dipende da quanto usiamo e quanto valore diamo a ciò che sappiamo fare.
  • Non ci sono tappe fisse e punti finali di sviluppo. Ancora una volta è importante la singola storia personale e il singolo percorso di vita. Questo puo’ essere studiato e valorizzato.
  • In molte professioni (e forse in tutte) sono fondamentali la personalità, la gestione delle emozioni, la socializzazione; caratteristiche che l’avanzamento dell’età possono affinare.
  • Non l’età ma la mancanza di opportunità crea indifferenza e senso di esclusione. Viceversa maggiori sono le attività in cui si viene coinvolti, maggiore è il piacere, l’interesse e il desiderio di parteciparvi.
  • La creatività non diminuisce con l’avanzare dell’età e dipende dalle esperienze avute in precedenza: più sono state varie e valide, maggiore sarà la capacità di risolvere i problemi che si pongono (caratteristica principale della creatività).

Ogni intervento correttivo deve partire innanzitutto da una attenta analisi delle idee che tutti i componenti dell’azienda hanno del lavoratore anziano. Infatti, spesso si riscontrerà che è proprio quell’immagine negativa il principale ostacolo da superare insieme. Successivamente si dovrà fare un piano generale che consenta di trovare soluzioni funzionali e infine si dovranno pianificare percorsi individuali in modo da valorizzare le particolarità di ognuno.

Un elemento di prevenzione importante, capace di ridurre al minimo l’emergere di crisi personali o dell’organizzazione, sarebbe una seria programmazione delle carriere lavorative: colloqui  periodici per rivedere le necessità aziendali e aspirazioni individuali, aggiustamenti del ruolo e formazione continua sono elementi che dovrebbero essere presenti lungo tutto il corso di una collaborazione lavorativa. Queste tecniche, insieme a tante altre, potrebbero veramente valorizzare il “capitale umano” di un’organizzazione che, come un buon vino, può migliorare invecchiando.

Ma per fare ciò bisogna saper tenere conto della soddisfazione dei singoli individui: in fondo la motivazione è il primo motore della produttività, per il lavoratore e per l’azienda.

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