La risposta a un’utente sul tema del rimanere da soli.
Caro Dott. Geraci,
Da circa sei mesi ho interrotto una convivenza di tre anni con un uomo, una storia profonda che mi ha fatto cambiare. Superati i primi mesi di tristezza adesso va bene, sono serena, lavoro, esco. Quel che mi turba è l’atteggiamento dei miei amici: non riescono a capire perché non cerco un altro compagno. Io sento di star bene da sola. Non sento il bisogno di “scacciare il chiodo” con un altro chiodo. Che ne pensa? Sono depressa? Cosa c’è di strano nello stare bene da single?
Luana, Novara.
Risposta
Cara Luana, forse lei risulta inquietante ai suoi amici perché oggi della solitudine si ha soprattutto paura. Come per esorcizzarla, milioni di persone si telefonano, si mandano email e sms, chattano in continuazione. Si è finito per considerare ovvio questo continuo “esser connesso”, questo vivere perennemente in una rete di relazioni e, di conseguenza un po confonde lo star soli.
Abbiamo tutti dimenticato che, accanto ad una solitudine “buia” e subita, può esserci anche una solitudine “luminosa” e ricercata?
Da un punto di vista psicologico, la solitudine è una condizione di per sé neutra. Essa certamente può accompagnarsi a disturbi come l’isolamento affettivo, la difficoltà relazionale o la depressione. Troviamo ancora la solitudine nelle condizioni di lutto o separazione, insieme a sentimenti di tristezza, dolore, oppressione. Sarà dovere dello psicologo, e di chiunque ha in carico una persona sofferente, prestare attenzione a questi lati oscuri e distruttivi.
Detto questo devo ricordare, a dispetto dei tempi, che esistono solitudini positive, gratificanti e creative. Non sempre, infatti, l’allontanarsi dagli altri comporta sofferenza o disagio. Viceversa, in tal modo, può favorire la ricerca di condizioni volte all’arricchimento interiore, ad un rapporto profondo con la realtà e ad un dialogo con le parti più autentiche di se stessi.
Una buona ricerca (Dogana, Tappatà e Filippetta; 2002) ci ha fornito persino un profilo del solitario (in Italia) e le conclusioni ci confortano. Il profilo di chi preferisce la solitudine è quello di una persona adulta e di livello culturale superiore, stabile emotivamente e capace anche di socialità. L’identikit dei solitari italiani evidenzia inoltre: coscienziosità (costanza, accuratezza, affidabilità, ecc) e apertura mentale (riflessività, aggiornamento, creatività, ecc) che sembrano essere l’espressione di un forte interesse per l’aspetto profondo delle cose e per un autentico rapporto con se stessi.
Queste caratteristiche trovano conferma anche nel pensiero di alcuni maestri della ricerca psicologica che considerano la “capacità di star soli” nel bambino un segno di buona evoluzione e nell’adulto, un elemento caratterizzante della persona pienamente realizzata.