Control Mastery Theory

La Control Mastery Theory (CMT), elaborata e verificata empiricamente da Joseph Weiss (1924-2004), Harold Sampson (1925-2015) e il San Francisco Psychotherapy Research Group a partire dagli anni Cinquanta, sottolinea che la motivazione primaria di ogni essere umano è quella di adattarsi al meglio alla realtà in cui si trova a vivere e di padroneggiare (to master) i propri problemi.Secondo questo modello, poi, ognuno di noi ha la capacità di controllare (to control), almeno in una certa misura, le proprie funzioni mentali consce e inconsce, guidato dalla ricerca di un senso di sicurezza. Un fenomeno ben noto a tutti può aiutarci a comprendere in modo chiaro questi punti. Se andiamo al cinema a vedere un film d’amore, nel corso del quale la coppia dei protagonisti si trova ad affrontare un periodo burrascoso per poi fare pace, in genere ci ritroviamo a piangere solo al lieto fine, cioè quando i due si ritrovano. Apparentemente avrebbe più senso che piangessimo quando gli amanti litigano o si lasciano, cioè quando le cose vanno male, e invece ci troviamo a piangere quando tutto si sistema. Perché?

In un breve e brillante articolo del 1952, Weiss spiega così questo curioso fenomeno: guardando il film, noi ci identifichiamo con la coppia di innamorati e viviamo le loro emozioni come fossero le nostre; per questa ragione, quando i due iniziano a litigare o sono in crisi, anche noi soffriamo, ma non potendo far nulla per risolvere la situazione, non ci sentiamo sufficientemente al sicuro per provare pienamente questi sentimenti per cui inibiamo la nostra sofferenza, o almeno le sue manifestazioni più eclatanti, come il pianto. Quando poi la coppia fa pace e le cose si sistemano, allora ci sentiamo sufficientemente al sicuro per sperimentare a pieno il dolore prima inibito e i pensieri che a esso si accompagnano. Ecco perché piangiamo solo al lieto fine.

Questo fenomeno ci permette peraltro di vedere anche come sia intrinseca in noi la motivazione a padroneggiare le nostre difficoltà: se così non fosse, non avremmo motivo per lasciarci andare al pianto quando il pericolo è scampato. Potremmo semplicemente dirci che è andato tutto bene e che, dunque, non vi è più motivo per essere tristi. Al contrario, ci troviamo a sperimentare le emozioni dolorose, prima inibite perché troppo minacciose e i relativi pensieri, cercando di padroneggiarli.

Inoltre, non siamo consapevoli di inibire le nostre emozioni quando ci sentiamo in pericolo e non siamo consapevoli neppure del fatto che ci concediamo di provarle quando ci sentiamo al sicuro; quindi, anche senza esserne consapevoli, noi esercitiamo un controllo sulla nostra vita mentale: un controllo finalizzato a permetterci il migliore adattamento alla realtà e il maggiore senso di sicurezza possibile.

Infine, dall’analisi di questo piccolo fenomeno quotidiano possiamo anche vedere che siamo in grado di esercitare inconsciamente funzioni mentali superiori complesse, come valutare la realtà, pianificare le nostre azioni, valutarne i possibili esiti e agire di conseguenza. Ad esempio, valutiamo in che misura siamo in condizioni di sufficiente sicurezza per fare qualcosa e le possibili conseguenze della nostra iniziativa su noi e sugli altri: decidiamo se intraprenderla o meno a seconda degli esiti di questa valutazione. Ad esempio, lo studente impegnato nella preparazione di un esame avvertirà la stanchezza accumulata solo dopo aver sostenuto la prova, perché avvertirla prima potrebbe ostacolarlo nella prosecuzione del suo studio; allo stesso modo, una persona che rischia un incidente avverte la paura solo dopo averlo evitato, perché a quel punto non è più necessario che sia del tutto lucida.

Fin da quando siamo piccoli, quindi, cerchiamo consciamente e inconsciamente condizioni di sicurezza e facciamo tutto quanto è in nostro potere per padroneggiare i nostri problemi e adattarci alla realtà. A questo scopo, una delle cose di cui necessitiamo è sviluppare un insieme di conoscenze affidabili su di essa, prima di tutto sulle relazioni con gli altri e sulle regole da rispettare per vivere. Un insieme di credenze, dunque, sulla realtà e sulla moralità che ci funga da mappa.

 

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